Erano quasi le dieci di sera, c’era la luna e la mia vita stava andando in nessun posto.
Avevo gli occhi tristi perché nessuno mi voleva più bene, neanche me stesso.
Era stata una giornata molto lunga e faticosa per me, così stanco e pallido decisi di tornare a casa.
Il mio appartamento, sporco e vuoto, negli ultimi mesi era diventato come una sala d’aspetto: avevo infatti trascorso intere settimane ad aspettare una telefonata o uno squillo di campanello che però non erano arrivati.
Sinceramente io non avevo mai creduto alle persone che dicevano di non avere aspettative. Non era vero. Tutti aspettano o avevano aspettato qualcosa o qualcuno. Sempre.
Io aspettavo lei.
Una ragazza molto bella e dolce con una mente fatta di una fibra sensibile, una pelle delicata ed un corpo caldo e sinuoso che sembrava poter ridere o soffrire. Questa era la cosa che mi piaceva di più di lei ed era anche il motivo per cui la continuavo ad amare e ad aspettare anche se da quando se n’era andata non era più tornata.
Con questi pensieri ingombranti nella testa buttai i piedi giù dalla scrivania, mi alzai dalla sedia ed accesi il giradischi.
Quando nella stanza cominciò a rimbalzare leggera la mia aria preferita della Carmen, io già ero disteso supino sul letto, sfatto e vuoto per metà.
Di fianco a me le pieghe sul cuscino e sulle coperte mi ricordarono che in fondo ero facile da accontentare, semmai era il resto del mondo a rappresentare un problema perché c’era sempre qualcuno o qualcosa capace di rovinarti la giornata se non addirittura la vita.
Come un male oscuro e cieco che ti si scaglia addosso con violenza a trecento all’ora senza lasciarti scampo.
Così ti ho vista spalmata su di un letto di ospedale e ti ho coperta con un lenzuolo bianco.
Eri tu.
“Finché morte non vi separi” ci aveva detto un giorno qualcuno.
Eri tu, ma forse non del tutto se quando chiudo gli occhi riesco ancora a vederti e a sentirti qui accanto a me.
Non era stata una buona giornata quella per me, niente affatto.
Dal cassetto vicino al letto tirai fuori un vasetto di pillole colorate.
“Quando smetterai di aspettarmi è lì che mi troverai” mi avevi sussurrato prima di morire.
Lo stappai e le ingollai tutte in una volta.
“Sono stanco di aspettare”.
Poco dopo mi addormentai.
Avevo gli occhi tristi perché nessuno mi voleva più bene, neanche me stesso.
Era stata una giornata molto lunga e faticosa per me, così stanco e pallido decisi di tornare a casa.
Il mio appartamento, sporco e vuoto, negli ultimi mesi era diventato come una sala d’aspetto: avevo infatti trascorso intere settimane ad aspettare una telefonata o uno squillo di campanello che però non erano arrivati.
Sinceramente io non avevo mai creduto alle persone che dicevano di non avere aspettative. Non era vero. Tutti aspettano o avevano aspettato qualcosa o qualcuno. Sempre.
Io aspettavo lei.
Una ragazza molto bella e dolce con una mente fatta di una fibra sensibile, una pelle delicata ed un corpo caldo e sinuoso che sembrava poter ridere o soffrire. Questa era la cosa che mi piaceva di più di lei ed era anche il motivo per cui la continuavo ad amare e ad aspettare anche se da quando se n’era andata non era più tornata.
Con questi pensieri ingombranti nella testa buttai i piedi giù dalla scrivania, mi alzai dalla sedia ed accesi il giradischi.
Quando nella stanza cominciò a rimbalzare leggera la mia aria preferita della Carmen, io già ero disteso supino sul letto, sfatto e vuoto per metà.
Di fianco a me le pieghe sul cuscino e sulle coperte mi ricordarono che in fondo ero facile da accontentare, semmai era il resto del mondo a rappresentare un problema perché c’era sempre qualcuno o qualcosa capace di rovinarti la giornata se non addirittura la vita.
Come un male oscuro e cieco che ti si scaglia addosso con violenza a trecento all’ora senza lasciarti scampo.
Così ti ho vista spalmata su di un letto di ospedale e ti ho coperta con un lenzuolo bianco.
Eri tu.
“Finché morte non vi separi” ci aveva detto un giorno qualcuno.
Eri tu, ma forse non del tutto se quando chiudo gli occhi riesco ancora a vederti e a sentirti qui accanto a me.
Non era stata una buona giornata quella per me, niente affatto.
Dal cassetto vicino al letto tirai fuori un vasetto di pillole colorate.
“Quando smetterai di aspettarmi è lì che mi troverai” mi avevi sussurrato prima di morire.
Lo stappai e le ingollai tutte in una volta.
“Sono stanco di aspettare”.
Poco dopo mi addormentai.
2 commenti:
QUARTO racconto breve in meno di un mese! niente male no? dopo Il Sorpasso, La Passeggiata, Raul Bova ecco a voi Omaggio...a chi vi starete chiedendo? beh...non lo dico...
mmm....racconto bello e interessante...mi ricorda qualcuno che vive questo momento... davvero toccante... bravo tiz! come sempre, poche righe rendono benissimo l'intensità di certe emozioni...
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