giovedì 3 novembre 2011

THIS MUST BE A PLACE - PAOLO SORRENTINO





Come anticipato nel precedente post due giorni fa sono andato a vedere “This must be a place” di Paolo Sorrentino. Mi incuriosiva molto questa pellicola perché sono diversi anni che scrivo e parlo di Sorrentino come del migliore Autore attualmente in circolazione in Italia. E devo dire che a titoli di coda proiettati il regista napoletano non mi ha deluso, anche se ci tengo a dire subito che “This must be a place” è un bel film (forse il migliore italiano visto quest’anno), ma non è un capolavoro, almeno secondo me. Sicuramente vedere al “servizio” di Sorrentino un mostro sacro come Sean Penn avrà fatto sussultare moltissimi spettatori medi come me, ma una volta finito di cantare le lodi all’attore americano se ci si riflette con calma sono tanti forse addirittura troppi i difetti di questa pellicola che purtroppo a malincuore devo dire non mantiene fino in fondo quello che promette. Questo è dovuto soprattutto ad una discontinuità narrativa piuttosto evidente: ci sono, tanti, tantissimi spunti interessanti e buone idee nel film che però non mi sono sembrate amalgamate in maniera convincente ed efficace. Si ha così come risultato un film molto lento che per lunghi tratti più che una storia coerente, sembra essere una galleria di singoli episodi (visivamente belli per giunta!) faticosamente uniti tra loro. Anche le sottotrame (come quella dell’Olocausto) sono troppo spesso trattate in maniera forzata, superficiale e poco efficace. Nonostante questo comunque “This must be a place” è un film piacevole e Sorrentino ha il grandissimo merito di non aver proposto una regia presuntuosa, ma piuttosto una semplice e pulita arricchita da una serie di lentissime e sofisticate carrellate (la migliore secondo me è quella del concerto di David Byrne) alternate a inquadrature strettissime. Ho apprezzato molto la cura quasi maniacale messa da Sorrentino nella fotografia e nei particolari e la caratterizzazione quasi estrema dei personaggi, ovviamente su tutti quella di Cheyenne, la rockstar in pensione interpretata da Sean Penn. Proprio a tal riguardo sono costretto a dire che, anche se io nelle mie definiamole recensioni non amo scrivere della trama o dare troppe informazioni sul film per non rovinare poi il gusto ed il piacere a chi vorrà andarli a vedere, in questo caso non posso non spendere due parole sul protagonista! Cheyenne come già detto è una ex-rockstar che ha le fattezze di Robert Smith (frontman dei Cure), personaggio davvero particolare che si trucca e si veste come adolescente in rotta con il mondo dal quale sembra aver ereditato lo stesso senso di infantilismo e smarrimento. Le sue incertezze però non sono dovute come potrebbe essere facile ipotizzare al declino della sua notorietà, ma sembrano avere radici più lontane e profonde. Il viaggio on the road attraverso l’America (omaggio secondo me esplicito del regista a questo filone cinematografico!) che sarà costretto ad intraprendere Penn, sarà un viaggio dentro se stesso che rappresenterà per lui l’occasione per uscire dallo stato di noia e regressione in cui era piombato dopo il ritiro dalla scena. Lo Cheyenne smarrito, stanco, con il tono di voce mesto e l’incedere lento con un trolley in mano per le vie di Dublino è destinato secondo me a diventare il nuovo Edward mani di forbice forse addirittura più problematico. Con questa interpretazione Penn dimostra ancora una volta di essere uno dei migliori attori per questo genere e di meritare l’ennesima candidatura all’Oscar! Intorno a lui comunque si muovono una serie di ottimi attori che magistralmente diretti da un Paolo Sorrentino apparso ad un livello di maturità cinematografica superiore rispetto alle pellicole precedenti, confezionano un film fuori dagli schemi, poetico, intelligente, a tratti ironico ed anche toccante che merita sicuramente di essere visto.

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